Introduzione ai test d'intelligenza
Qualsiasi sia la vostra definizione personale di intelligenza è comune osservare che persone diverse abbiano intelligenze diverse. I problemi nascono quando, cercando di entrare più nel dettaglio, proviamo a quantificare queste differenze.
Una semplice teoria che spiega la varietà fra le persone è la seguente: ogni persona ha una diversa “quantità di intelligenza”. Secondo questa teoria l’intelligenza si può immaginare come l’acqua in un bicchiere: alcuni bicchieri sono pieni, altri a metà, altri quasi vuoti.
La “teoria del bicchiere” però porta subito a un problema. Si vede subito con un giochino: provate a ordinare i seguenti personaggi storici a seconda della loro “quantità di intelligenza”.
J.S. Bach
Isaac Newton
Napoleone Bonaparte
Dante Alighieri
Cercare di classificare queste persone su un’unica scala appare riduttivo. Se fossero bicchieri non sarebbero semplicemente pieni a livelli diversi: alcuni avrebbero dentro birra, altri succo d’arancia e altri crema al mascarpone. La percezione che abbiamo è che le loro intelligenze siano diverse non solo in quantità, ma anche in qualità.
È chiaro quindi che oltre a esserci differenze verticali nell’intelligenza esista anche una variabilità orizzontale. Soprattutto fra persone considerate “geniali”, come quelle appena citate, è difficile trovarne due uguali. Questo può portare a pensare che l’intelligenza non sia riducibile a un’unica dimensione, o che sia troppo complesso cercare di quantificarla. E di fronte a queste difficoltà molte persone si arrendono, considerando l’intero tentativo di “misurare l’intelligenza” un’attività futile.
Nonostante ciò, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, alcune persone non si sono arrese e hanno proseguito in questa ardua impresa.
Perché misurare l’intelligenza
Nonostante con tutta probabilità differenze cognitive fra individui siano sempre state notate, non tutte le società umane hanno dato a queste differenze lo stesso peso. Di fronte a scelte cruciali come decidere con chi sposarsi, con chi fare affari o chi avere come amico, altri fattori sono spesso stati più importanti: patrimonio, classe sociale, appartenenza religiosa, etnia, aspetto o prestanza fisica, etc.
L’interesse della società occidentale moderna nei confronti dell’intelligenza non è un caso. Deriva da alcune condizioni che sono venute a convergere:
Sviluppo di una concezione scientifica del mondo (le cose possono essere misurate e queste misure sono la chiave per capire la realtà e risolvere i problemi).
Società capitalistica in cui i lavori sono molto specializzati e in cui si cerca una sempre maggior produttività. È utile sia per l’individuo sia per la società che le risorse (anche quelle cognitive) siano “ben allocate”.
Maggior democratizzazione, grazie alla quale milioni di individui hanno più opportunità (accesso all’istruzione). Gestire milioni di persone però richiede un efficiente processo di smistamento e valutazione per permettere a ciascuno di potersi esprimere al meglio con le capacità che possiede.
Proprio quest’ultimo punto è stato la scintilla che ha fatto nascere i test di intelligenza.
Prima di un paio di secoli fa le scuole, come le intendiamo oggi, non esistevano. La maggior parte dei bambini non andava a scuola, e l’educazione veniva impartita in famiglia e “sul campo” (molto spesso letteralmente in un campo, considerato che la maggioranza della popolazione era contadina).
Con lo sviluppo dei primi sistemi di educazione universale nelle nazioni occidentali milioni di bambini hanno cominciato a ritrovarsi regolarmente in luoghi che in apparenza non avevano nulla a che fare col mondo esterno: banchi, lavagne e gessetti, libri. L’idea che bambini figli di contadini e operai potessero imparare qualcosa di utile in questo modo bizzarro non era scontata.
Nel complesso il sistema si è rivelato un successo, ma molto presto ci si è resi conto che alcuni bambini, nonostante gli sforzi, hanno enormi difficoltà a imparare ciò che serve in un contesto scolastico. Nei primi del Novecento in Francia questo problema fu portato all’attenzione del Ministro dell’Istruzione. La Francia era una delle poche democrazie all’epoca, ed era importante trovare un criterio per quanto possibile oggettivo e non discriminatorio per identificare quali bambini erano inadeguati al percorso scolastico standard, per indirizzarli in percorsi più consoni per le loro capacità.
La persona deputata a questo compito fu Alfred Binet.
Il primo test di intelligenza dell’epoca moderna
Alfred Binet rimarrà noto come l’inventore del primo test del quoziente intellettivo (anche se originariamente non si chiamava così), che serviva appunto per distinguere fra bambini più adatti e meno adatti al percorso scolastico.
Per sviluppare il test Binet fece due ipotesi ragionevoli:
Le capacità cognitive dei bambini crescono con l’età. Un bambino di 8 anni di solito sa risolvere problemi più difficili rispetto a un bambino di 5 anni. Su questa base Binet ha definito il concetto di Età Mentale (EM): se un bambino ha EM di 6 anni significa che opera al livello cognitivo medio dei bambini di 6 anni. L’età mentale può essere quindi confrontata con l’età cronologica (EC) per capire se un bambino è sopra o sotto il livello atteso per i bambini della sua età.
Il rapporto EM/EC rimane più o meno costante con gli anni. Ovvero: se Maria e Pino all’età di 5 anni hanno un’età mentale differente (es. Maria ha un’EM di 6 anni e Pino di 4), si ipotizza che all’età di 10 anni la differenza sarà simile (es. Maria con EM di 12 anni e Pino con EM di 8).
Il rapporto EM/EC è quindi una misura dello sviluppo cognitivo di un bambino. Questo rapporto porta a risultati decimali brutti da vedere (es. 6/7 = 0,86 circa), quindi per facilitare la lettura ai non addetti ai lavori il primo “Quoziente Intellettivo” (QI) è stato definito come 100*EM/EC. È sempre età mentale diviso età cronologica, ma moltiplicata per cento. Si vede subito che:
EM/EC < 100 significa che il bambino sta avendo uno sviluppo cognitivo lento rispetto alla media. Ad esempio un bambino di 7 anni con età cronologica di 6 ha un “QI” di 86.
EM/EC = 100 significa che il bambino è esattamente nella media della sua età.
EM/EC > 100 significa che il bambino sta avendo uno sviluppo cognitivo rapido rispetto alla media. Ad esempio età mentale 13 ed età cronologica 10 portano a un “QI” di 130.
Perché ho messo le virgolette attorno a “QI”? Perché questo modo di calcolare il quoziente intellettivo è obsoleto.
Una breve introduzione ai moderni test del QI
Il “quoziente intellettivo” di Binet, per quanto utile inizialmente, aveva un grave problema: per gli adulti il rapporto EM/EC perde di senso. Per fare un esempio estremo, un punteggio di 200 si può ottenere in questi due modi:
un uomo di 40 anni con un’età mentale di 80
una bambina di 10 anni con un’età mentale di 20.
Ma nel primo caso è un segnale di grave deficit cognitivo rispetto ai coetanei, mentre nel secondo è segnale di estrema precocità.
Per questo motivo il QI calcolato come rapporto è diventato presto obsoleto, soprattutto quando è diventato importante valutare l’intelligenza negli adulti (ad esempio per il reclutamento militare fra le due guerre mondiali).
Il metodo per assegnare punteggi nei moderni test è più sofisticato. Qui do una panoramica, ma ne parleremo più in dettaglio nel prossimo articolo.
Primo. Si crea un test, che semplificando è semplicemente un insieme di problemi da risolvere. Di solito problemi come questo qui sotto (matrici di Raven) ma non è necessario. Esistono test estremamente più variegati, a volte cronometrati, altre volte no.
Secondo. Il test è costruito in modo che i punteggi grezzi delle persone a cui viene somministrato (ovvero quanti problemi risolvono correttamente) si distribuiscano in una curva “a campana” (il nome tecnico è distribuzione normale o gaussiana). La potete osservare in tutta la sua magnificenza qui sotto.
Non c’è spazio per descrivere tutte le proprietà matematiche di questa curva, ma un paio immediatamente visibili sono:
è simmetrica attorno al centro, ovvero metà delle persone fa punteggi sotto la media e metà sopra (la media è la linea rossa)
il numero di persone è esponenzialmente sempre più basso man mano che ci si allontana dal centro, quindi punteggi molto alti o molto bassi sono molto rari, mentre punteggi medi sono molto comuni
Terzo. I punteggi grezzi (es. “21 risposte corrette su 50”) vengono convertiti in punteggi standardizzati, utili per confrontare test diversi. Per questo la media di un test del QI è solitamente sempre 100 e la deviazione standard (un numero che dice quanto è larga la curva attorno alla media) è quasi sempre 15, indipendentemente dal tipo di test. Una volta fatto ciò sappiamo matematicamente un sacco di altre cose:
Il 50% delle persone è sotto a 100 e il 50% sopra.
Quasi tutte le persone sono vicine alla media: il 68% delle persone fra 85 e 115 e il 95% fra 70 e 130.
Punteggi molto alti o molto bassi sono davvero rari: solo una persona su 1000 è sopra a 146. Per questo i test professionali più diffusi perdono precisione per punteggi agli estremi della curva. Punteggi sopra i 160 sono di fatto non solo improbabili, ma impossibili da ottenere con la maggioranza dei test professionali. Se sentite qualcuno che ha “200 di QI” si tratta o di estrapolazioni da prendere con le pinze oppure di punteggi ottenuti col vecchio metodo di Binet (età mentale diviso età cronologica), quindi con un significato diverso dai punteggi ottenuti con la gaussiana.
In questo modo piuttosto elegante è possibile confrontare le performance di persone diverse. I test del QI moderni sono quindi un confronto relativo (statistico) fra persone, non un confronto assoluto.
Questo significa che se Giovanna ha un punteggio di 130 e Anna di 100, possiamo dire che Giovanna ha fatto un punteggio superiore ad Anna, e sappiamo anche dire quanto sono rari o comuni i loro punteggi (una persona su 50 fa un punteggio superiore a Giovanna, mentre una persona su due fa un punteggio superiore ad Anna). Ma non sappiamo dire quanto Giovanna è più intelligente di Anna. Questo punto è importante e lo approfondiremo a dovere.
Per oggi credo basti così. Questo è il primo articolo di una serie sull’intelligenza. Nei prossimi articoli inizierò a sviscerare un po’ delle domande che sicuramente vi saranno venute in mente leggendo:
Chi ci assicura che risolvere puzzle del genere misuri l’intelligenza? Chi sceglie questi puzzle e perché proprio questi e non altri?
E cosa significa intelligenza? Ancora non l’hai definita!
E se esistessero più intelligenze? Come facciamo a confrontare Bach e Newton?
Da cosa dipende l’intelligenza? Ambiente, geni, cervello? Si può migliorare?
E molto altro.
Se avete domande specifiche vi invito a scriverle nei commenti :)